Il tartufo è il frutto più prezioso e raro della terra. Principe in cucina fin dall’antichità per le sue straordinarie proprietà organolettiche, il tartufo è un fungo ipogeo a forma di tubero (genere Tuber, famiglia delle Tuberaceae) che cresce spontaneamente in prossimità delle radici di piante come la quercia, il nocciolo, il carpino e la roverella con le quali stabilisce un rapporto simbiotico.
Formato da una massa carnosa interna detta gleba ed un involucro chiamato peridio o scorza, il tartufo è costituito da un’alta percentuale di acqua, fibre e sali minerali che vengono assorbiti dal terreno attraverso le radici delle piante con cui il tubero vive in simbiosi.
La sua ricerca è un’arte antichissima praticata secondo i ritmi della natura. In passato avveniva impiegando il maiale per il suo fine odorato ma tale metodo è ormai abbandonato. Oggi il cercatore di tartufi si serve di un cane addestrato: qualsiasi razza è potenzialmente adatta anche se l’unica riconosciuta per l’attitudine alla ricerca del tartufo è il Lagotto romagnolo. Il “cavatore” di tartufi deve essere in possesso di un tesserino di riconoscimento che lo autorizza alla raccolta in determinati luoghi e lo responsabilizza ad una condotta rispettosa verso la natura e le proprietà in cui accede.
Quando il tartufo raggiunge la piena maturazione emana il suo caratteristico profumo: la sua fragranza, generata da una straordinaria miscela di sostanze, diventa sempre più intensa con la maturazione del frutto. È allora che il cane riesce a fiutare il tartufo e ad individuare la zona; a questo punto il cercatore, con un apposito vanghetto, porta alla luce il frutto. Dopo la raccolta, è fondamentale ricollocare le zolle rimosse affinché le spore sparse sul terreno formino nuove radichette e il tubero possa rinascere negli stessi luoghi.